Sabato 28 e Domenica 29 maggio si è svolta “LA SECONDA RIEVOCAZIONE STORICA DEL COMBATTIMENTO DI CALMASINO DEL 29 MAGGIO 1848”.
La manifestazione è stata organizzata dal GRUPPO ALPINI DI CALMASINO, con la
collaborazione ed il patrocinio del COMUNE DI BARDOLINO; l'evento fa parte delle "Celebrazioni per il 150° anniversario
dell'Unità d'Italia" programmate dall'Assessorato alla Cultura.
I primi figuranti, in divisa d'epoca, con armamenti leggeri ed equipaggiamenti fedelmente riprodotti, sono giunti nel pomeriggio di venerdì 26 ed hanno allestito l'accampamento nel "campetto" in Via Verona (in tenda hanno poi affrontato una notte di pioggia e forte vento). Il mattino seguente in "Piazza del Combattimento" il vice sindaco LAURO SABAINI ha dato l'avvio alle celebrazioni con gli alunni delle scuole elementari che si sono esibiti in canti patriottici risorgimentali ed hanno accompagnato l'Alzabandiera con l'Inno Nazionale.
La cerimonia si è ripetuta al Monumento ai Caduti di Bardolino con il sindaco.Nel pomeriggio a Cisano è iniziata la rievocazione con lo sbarco - dall'antico veliero San Nicolò - di un corpo di volontari aggregati all'esercito sardo piemontese tra le acclamazioni di "villici" festanti; dopo la deposizione di una corona di alloro al Monumento ai Caduti, tutti hanno marciato verso Bardolino, passando fra numerosi turisti e bagnanti sorpresi e divertiti (con un indubbio effetto coreografico, anche se il fatto è privo di qualsiasi riscontro storico). La cerimonia è stata presieduta dal consigliere di frazione MICHELE GASTALDELLI (il sindaco, in divisa d'epoca di ammiraglio, ed il consigliere Maurizio Comencini erano tra i figuranti).
A Bardolino è stata emulata l'insurrezione del 28 maggio 1848, repressa in maniera cruenta dalle truppe austriache, ben armate attestate con l'artiglieria presso la chiesa di San Severo, che dopo aver sbaragliato gli insorti hanno proceduto con fucilazioni sommarie di un frate e di contadini inermi. Grazie all'intervento delle nobildonne bardolinesi, e di copiose donazioni, vengono risparmiate al paese ben più gravi conseguenze.
La celebrazione per il 150°, svoltasi domenica mattina a Calmasino, è iniziata con la sfilata aperta dal GRUPPO TAMBURINI DI PACENGO e dai VESSILLI delle Sezioni ANA di MILANO e di VERONA, cui è seguita la parata della FANFARA DELL'ASSOCIAZIONE NAZIONALE BERSAGLIERI DI VERONA con il labaro provinciale. La messa concelebrata da Mons. LUIGI COTTARELLI, Don SANTE MONESE e dal parroco Don GRAZIANO MILANELLO, è stata animata dal CORO ALPINO COSTABELLA e dai trombettisti dei bersaglieri. Dopo la deposizione della Corona al Monumento ai Caduti si sono tenute le orazioni ufficiali.
Il Sindaco IVAN DE BENI, ha rimarcato che le rievocazioni di episodi come la battaglia di Calmasino - anche se storicamente marginale - permettono di avvicinare le nuove generazioni e far loro riscoprire fatti che hanno contrassegnato la nostra storia locale inserita in un ambito nazionale
I rappresentanti delle associazioni combattentistiche (MARCO CAVALLARO presidente ANB Verona e GIANCARLO PIVA consigliere ANA MILANO) nel ricordare i militari morti per la patria a partire da quel 1848, hanno accomunato al loro sacrificio anche i recenti caduti ed i feriti dei nostri contingenti in armi, impegnati nelle missioni all'estero.
La prof. CHIARA ZAPOLLA, insegnante di Lettere Classiche al Liceo "Guarino Veronese" di San Bonifacio ha infine letto un componimento in prosa sul Tricolore e l'Unità d'Italia, scritto dai suoi alunni di 1a liceo e risultato vincitore di un concorso tra tutte le scuole della Provincia di Verona.
Nell'omelia, mons. Luigi Cottarelli ha invitato ad una riflessione sui valori della Libertà, che è autentica solo se priva da condizionamenti e quando i comportamenti derivano da una convinzione interiore, che fa sentire liberi anche in situazioni di costrizione fisica.
Tra i presenti, i comandanti delle forze dell'ordine locali, i membri della commissione per le
celebrazioni per il 150°, con il presidente prof. ARMANDO GALLINA, il generale alpino MARCO CASTELLANI, l'assessore ai servizi sociali LORIS LONARDI.
Nel pomeriggio gli opposti schieramenti si sono fronteggiati riproducendo lo scontro del 1848 per tutta Via Santa Margherita, da Piazza del Combattimento alla strada per il cimitero. Gli austriaci attaccando ripetutamente a ranghi serrati riescono a portare scompiglio tra i piemontesi, che alla fine, rinforzati dai volontari toscani, contrattaccano compatti e respingono gli assalitori. Ricomposti i ranghi i gruppi hanno terminato l'esibizione congedandosi con tre scariche di moschetto.
Per chiudere è stato presentato uno spettacolo teatrale all'aperto "MAGGIO 1848, CALMASINO NEL TURBINE DELLA PRIMA GUERRA DI INDIPENDENZA", monologo interpretato da STEFANO PAIUSCO, scritto dallo stesso e da RAJA MARAZZINI. Una vicenda sentimentale che si intreccia con i fatti bellici del 1848, un amore impossibile di lei nobile e ricca per lui povero contadino; lei muore dopo aver partorito un figlio, lui cade da eroico combattente; ...ma c'è un segreto che conosce solo la vecchia balia, e che rivelerà solo in punto di morte.
Venerdì è stata aperta una mostra con esposizione di armi antiche, attrezzature da campo, oggettistica e documenti dell'ottocento. Nelle tre giornate hanno funzionato chioschi enogastronomici, con cibi tipici e vini locali, mentre le serate sono state allietate con l'esecuzione dal vivo di musiche folkloristiche, popolari e da ballo.
Sono state anche confezionate delle bottiglie di vino rosso bardolino, prodotto da una cantina di Calmasino, etichettate con numerazione limitata, donate a tutte le associazioni e gruppi alpini presenti.
Il gravoso impegno assunto dal Gruppo Alpini di Calmasino è stato portato a termine grazie alla fattiva collaborazione del volontariato locale e all'apporto di aziende, enti ed associazioni, a partire dall'Amministrazione Comunale che per prima ha creduto nel progetto.
Un particolare ringraziamento al sindaco IVAN DE BENI, al consigliere MAURIZIO COMENCINI, all'ASSOCIAZIONE CALCIO CALMASINO, all'ASSOCIAZIONE NAZIONALE CARABINIERI di Bardolino, a "CALMASIN NEL COR", alla CROCE ROSSA e a tanti altri che hanno intensamente e lungamente lavorato (Angelo Mancini).
APRILE DEL ‘48: GLI EVENTI SUL GARDA da “29 MAGGIO 1848...” - eroi ed ideali dell'indipendenza italiana sul lago di Garda
di Rino Pio Accordini e Andrea
Torresani (Cierre GraficaVerona – 29 maggio
1996)
... accadde il 10/11 aprile 1848 tra Cisano e Castelnuovo ...
Nei primi giorni di aprile il generale Allemandi, con i legionari di Arcioni e Manara, nell’occupare Salò, Desenzano e i paesi
vicini, i cui abitanti avevano agevolato i successi impossessandosi dei battelli a vapore che facevano servizio fra i paesi riveraschi, sotto l’incalzare degli eventi decise anche di sfruttare il
vantaggio offerto dalle imbarcazioni per rifornirsi di munizioni nelle polveriere austriache, site nell’entroterra del lago di Garda. Dalla colonna di Luciano Manara, partì una spedizione di
volontari sulle rive orientali veronesi del lago. All’alba del 10 aprile da Salò, s’imbarcarono su due vapori e sui barconi a rimorchio 450 uomini (guidati da Agostino di Noaro), che sbarcarono
verso le 10.00 della stessa giornata nel porto di Cisano (porto interrato nel 1934, per far luogo a una piazza da riviera). Questi intrepidi avevano per ufficiali Vitaliano Crivelli, Ranieri,
Viancone, Regis, Vertu, Roveda, Manari, Goluchowiscki, Lomolini, gli avvocati Saporiti e Vimercati. Fra loro vi era anche Bois Gilbert con i suoi 200 spregiudicati, tolti per la maggior parte,
dai cosiddetti “Barabba” di Milano, definiti dal maresciallo Radetzky la “abschaum der stadt” (feccia della città). Agostino di Noaro racconta che, appena avvenuto lo sbarco, i villici di Cisano,
esultanti di gioia, corsero subito loro incontro, abbracciando i soldati; stringendo il tricolore, baciandolo e ribaciandolo. E racconta ancora che i volontari si fermarono un po’ a rifocillarsi,
avviandosi poi, al rullo dei tamburi, verso il castello di Lazise, dove il giorno dopo furono raggiunti da 600 legionari guidati dal ventitreenne Luciano Manara. Dal racconto dell’arciprete
vicario foraneo di Cisano don Agostino Castellani, si apprende che: “durante la notte gli abitanti videro dei lontani e misteriosi bagliori nella campagna fra Lazise e Colà”. Il giorno dopo, l'11
di aprile, verso le ore 15.00, udirono un grande fragore che fece paurosamente tremare le case e degli altri scoppi minori simili al tuonare di un cannone, o al brillare di una mina. Cosa stava
succedendo? Lo seppero verso sera da un gruppo di cittadini di Lazise che, temendo rappresaglie, abbandonavano il paese, per rifugiarsi in luoghi più sicuri. Dalle loro concitate affermazioni le
genti di Cisano ricavarono le seguenti notizie: i volontari partiti da Lazise, dove avevano posto il loro quartiere, marciavano verso Cavalcaselle, dove si era venuto a sapere che vi era una
polveriera ben fornita e custodita da un consistente numero di soldati. In quel giorno del 10 aprile, si preparò la spedizione per l'attacco alla polveriera di Belvedere di Colà. Alle ore 4
pomeridiane venne requisito il campanile di Pacengo, come luogo d’osservazione all’impresa. Si stabilì per l’azione un apporto di cento uomini che dovevano presentarsi per le ore 19.00. Il sole
stava tramontando e si preordinò la missione. Alla chiamata dei primi cento volontari furono pronti i sette fratelli Bottinoni di Milano. Il Noaro disse loro: “Se male andasse, bisogna che
qualcuno resti ed avanzi almeno la stirpe di così italiana famiglia”. Non vi è stato verso alcuno che rimanesse nella riserva, tutti e sette infatti vollero far parte all’incursione. I volontari
alla mezzanotte giunsero presso la polveriera, a mò di catena l’accerchiarono, caricando alla baionetta, e catturarono venti uomini di guardia, tra i quali un sergente ed un caporale che venne
poi ucciso mentre fuggiva. Il Noaro, ordinò quella notte di tenere accesi più di trecento falò, regolarmente distanziati fra loro, per ingannare l’avversario sull’entità della loro forza.
Compiuto l’intervento, in quelle ore, accorsero ingrossando le fila, 200 uomini della colonna de Manara e con ordini scritti dal Noaro requisirono carri per l’esportazione delle polveri. Alle ore
10.00 del giorno 11 aprile, 550 barili furono imbarcati a Lazise. Mentre si svolgevano queste operazioni i legionari occuparono la vicina “Castelnovo” (con decreto ministeriale il 3 giugno 1970,
è stato conferito e riconosciuto l’attribuzione del nome in Castelnuovo del Garda). Immediata fu la reazione austriaca; un contingente della brigata Thurm und Taxis, proveniente da Verona,
attaccò le schiere dei patrioti, che sopraffatti dal nemico, dovettero ripiegare. In quel frangente, un legionario, un certo Bossi, studente di farmacia di Milano, seguito da alcuni compagni
corse alla polveriera, dove diede fuoco ad una miccia comunicante con alcuni barili di polvere, che saltarono in aria insieme con la polveriera. I volontari dovendo coprire la ritirata avevano
usato lo stratagemma di far brillare parecchie cariche a distanze costanti, poste su carri diretti al porto di Lazise, anche per far credere che la strada che portava al lago era stata minata.
Infine si barricarono fra le mura dell’antico Castello, in attesa che i battelli venissero per trasportarli all’altra sponda, ove al mattino del giorno seguente, salparono per Salò. Questo colpo
di mano eseguito dai legionari di Manara fu una generosa ed audace imprudenza, le cui conseguenze furono troppo dolorose per non essere deplorate. Lo scopo di queste unità non doveva essere la
conquista né la stabile occupazione ma, un’azione di disturbo. Fu un errore però non tener conto che una simile operazione aveva sottoposto ad evidenti rischi il paese di Castelnovo. In quella
drammatica giornata dell’l1 aprile 1848, dopo la fuga dei legionari, gli abitanti della cittadina subirono un’inaudita e spietata rappresaglia, che ebbe come vittime donne, bambini, giovani e
vecchi, passati a fil di spada e lasciati insepolti tra le case incendiate. Furono 230 le case date a fuoco e fiamme, che alcuni anni or sono ancora trasudavano traccie di vistose vampate fumose.
Per diverse settimane, Castelnovo sarà inavvicinabile per l’odore dei cadaveri in putrefazione. Il terribile massacro ebbe un’eco di orrore in tutto il mondo civile, certe mutilazioni di cadaveri
attestarono un grado supremo di perversità e depravazione. Il dottor Giuseppe Palazzieri di Sandrà raccolse poi pietosamente i cadaveri di 43 volontari e di 53 abitanti del paese, e li ridusse in
cenere. Ma a queste vittime se ne aggiunsero delle altre, tant’è che alla fine si contarono altri 100 morti. Un numero imprecisato di cadaveri austriaci furono sepolti dai loro soldati. Da un
rapporto trasmesso da Cisano, sul raid alla polveriera, Agostino di Noaro scrive al generale Allemandi: “Requisiti 582 barili di polvere; soffro un croato morto e 18 prigionieri; perdite 15
uomini”.
... accadde il 28 maggio 1848 a Bardolino ...
Il feld-maresciallo Radetzky, per sbloccare la fortezza di Peschiera, aveva concepito questo piano di guerra: una colonna di 6.000
soldati, scendendo da Rivoli, doveva attirare l’attenzione dei piemontesi sulle colline che circondano il lago; poi da Mantova, risalendo la sponda destra del fiume Mincio, avrebbe sorpreso e
attaccato gli assediati alle spalle. In esecuzione di questo piano, il 28 maggio 800 Kaiserjaeger (Cacciatori imperiali), comandati dal colonnello Zoebel, piombarono quasi improvvisamente su
Bardolino, dove trovarono pronti per affrontarli la piccola Guardia Nazionale, alcuni audaci e una compagnia di volontari pavesi. La milizia era animata dai fondatori ed intrepidi fratelli,
Cabrusà, l’avvocato Bortolo e il dottor Francesco. Alla prima notizia dell’avvicinarsi di quelle truppe, un certo Angelo Arietti, detto “Pissini”, corse subito a suonare furiosamente le campane a
stormo; i volontari intanto innalzarono barricate presso San Severo; tutti poi sì posero in attesa nel recinto del vecchio sagrato. Entusiasmo illusorio e perciò fatale anche perché subito i
pochi colpi dell’artiglieria austriaca sgombrarono la strada. Sempre secondo il racconto di don Agostino Castellani, Paolo Lenotti detto “Paolon” al “capitel” (attuale quadrivio di via San
Colombano, via Dom, via Marconi, via Gardesana dell’Acqua) fuIminò con un colpo di fucile il comandante austriaco, che a cavallo marciava in testa alle schiere. Dopo queste audaci azioni il
parroco Pietro Castellani, gli altri maggiori rivoltosi e un folto gruppo di popolani riuscirono a scappare e a sparpagliarsi in paesi più sicuri. Se l’Arietti subito poté fuggire, cavandosela
poi con un po’ di prigionia, il bovaio Sante dal Prete, conosciuto come “Curto”, il villico Giovanni Marchi e il falegname Andrea Pennacchio furono immediatamente trucidati. I primi due in San
Severo perché caduti in sospetto di aver fomentato la popolazione suonando la campana a martello, il terzo presso la vicina chiesa di Borgo Garibaldi della Disciplina, essendo stato raggiunto con
l’arma ancora in pugno. Si era anche cominciato a dar fuoco al paese: fortunatamente all’ultimo momento lo si risparmiò per l’animoso intervento della nobildonna Teresa Gianfilippi Arvedi. Però
Bardolino non uscì da quella triste vicenda senza prima cadere in mano ai soldati per uno spietato saccheggio. Da una copiosa lettera, datata 8 giugno 1848, il reverendo parroco di Bardolino don
Pietro Castellani, rifugiatosi nella cittadina castello di Lazise, scriveva al giornalista Pietro Bertoni di Milano raccontando i tragici fatti avvenuti. Un vero patriota questo Castellani, che
appoggiava senza paura le truppe piemontesi. Tant’è che il 25 marzo dello stesso anno aveva benedetto la bandiera tricolore portata dal dottor Carlo Delaini, futuro sindaco di Garda. Per questo
suo comportamento, successivamente alla sconfitta del 25 luglio subita dai piemontesi a Custoza, venne emessa nei suoi confronti un’ordinanza militare di condanna a morte, controfirmata dal
feld-maresciallo Radetzky. La pena venne commutata, grazie all’intercessione del vescovo di Verona monsignor Lorenzo Mutti, in due anni di prigione da scontare nel reclusario di San Clemente a
Venezia, ma che gli costò la perdita della Parrocchia.
... accadde lunedì 29 maggio 1848 a Cisano e Calmasino ...
Il colonnello Zoebel dell’esercito austriaco, per alleggerire sempre più la pressione nella cerchia di Peschiera, aveva spedito
4.000 uomini con alcuni pezzi di artiglieria ad occupare le alture di Calmasino. In dipendenza da questi fatti attorno a Cisano, quel giorno fu un continuo rincorrersi, scontrarsi e combattere.
La mattina, infatti, i volontari pavesi, ai quali si era aggiunto un battaglione del 3° reggimento fanteria della brigata Piemonte, inviato in loro aiuto dal maggiore generale De Sonnaz, con un
impetuoso ritorno offensivo riuscirono a risospingere attraverso i “mandracì” (terreno palustre) le truppe avversarie nella vicina Bardolino. Nel pomeriggio le compagnie della brigata Piemonte,
che difendevano il paese di Cisano, sostenute da un gruppo di volontari pavesi attaccarono vigorosamente una colonna di austriaci, che guidati dallo Zoebel e, incalzate dalle truppe del generale
Bes, si erano ritirate da Calmasino a Cavajon, per aggirare le posizioni dalle quali erano state allontanate. Il combattimento diretto personalmente dal tenente generale Federici si svolse
davanti al camposanto di San Vito. Quando cominciarono a difettare le cartucce, il Federici ordinò a delle compagnie, poste in riserva alla Pergolana di Lazise, di spedire immediatamente alcuni
soldati volontari in aiuto alla prima linea. “Siamo tutti volontari”, risposero quelli a una voce, e subito partirono a passo di corsa. Arrivati al luogo del combattimento, il maggiore Capriglio
fece battere la carica. Assaliti alla baionetta, gli avversari regredirono alla peggio e, dalla narrazione di Angelo Tragni, gli austriaci ritirandosi in fuga lasciarono sul terreno 25 morti e
ottanta feriti. Altri seguenti dolorosi episodi sono subentrati in quella giornata di lunedì 29 maggio 1848. L’inesorabile fucilazione di due poveri popolani, Adamo Valetti di Cisano e Carlo
Barbazeni di Bardolino. Valetti, inoffensivo contadino, facendo ritorno verso le ore 14.00, alla sua casa di campagna, fu trucidato lungo la “strada della Vignola”, che passa dietro al camposanto
di Cisano. Lo trovarono poi steso al suolo, irrigidito nell’immobilità della morte, ancora nell’atto di tamponarsi le ferite con il lembo di un sacco. Invece il muratore Carlo Barbazeni,
soprannominato “Liborio”, sotto l’accusa di false informazioni, venne fucilato due ore dopo, sulla strada che da Cisano conduce a Bardolino, presso il “ponte dei Pitteri” (ponte dei Pettirossi in
via Campagnola, 27). Dal resoconto di don Agostino Castellani, quel poveretto fu seppellito senza una preghiera, in un campo vicino al luogo della fucilazione. RELAZIONE SUL COMBATTIMENTO DI
CALMASINO E CISANO DEL 29 MAGGIO 1848 In quel giorno Radetzky, deciso a salvare Peschiera ormai ridotta alla fame, entra in azione sui due fianchi dello schieramento avversario. Una forte colonna
assale il 3° reggimento fanteria ed i bersaglieri studenti della 3a compagnia del 1° battaglione a Calmasino. Benché inferiori di numero e di mezzi, i sardi respingono gli austriaci. L’attacco
austriaco è sferrato al fine di richiamare truppe dell’esercito sardo verso nord, mentre da Mantova, circa 17.000 uomini si accingono a marciare contro i giovani tosco-napoletani. Relazione del
maggior generale Bes sul fatto d’armi di Calmasino, 29 maggio1848. (Stato maggiore dell’esercito - Ufficio storico. Registro G 15 - mazzo n° 83). Disposti gli 1° e 2° battaglioni del 3°
reggimento, i quali occupavano le principali posizioni da Calmasino al lago con alcune compagnie poste in riserva inosservate, mi portai sulle alture a fianco della chiesa di Calmasino per ivi
osservare le mosse del nemico raccolto in gran numero a Cavajon, oltre altre forze che stendevasi sino a Bardolino. Ad un’ora pomeridiana circa si videro sboccare tra forti colonne dirette l’una
a destra di Cavajon nel verso di Bardolino, un’altra più numerosa sulla strada di Calmasino, ed infine una terza che si diresse a sinistra su gli Dogali di Sopra e di Sotto, più uno squadrone che
si spinse fuori Cavajon. Esse colonne proseguirono risolutamente la loro strada sparando alcuni colpi di cannone; e fecero ripiegare i nostri avamposti che dopo alcuni colpi di fucile si
gettarono in fretta nell’interno di Calmasino. Giunta la colonna principale alla portata del tiro di fucile fu accolta da un vivo fuoco di moschetteria dalla nostra truppa collocata sul monte
della Pilla e da quella posta sul monte detto Bosco de’ Gervasoni; quel fuoco fece indietreggiare la testa della colonna nemica che spinta però dal gran numero che seguiva gettossi a destra ed a
sinistra massime dal lato primo ne’ campi vitati. Seguì allora per qualche tempo un sostenuto fuoco di moschetteria su tutta la fronte fra ambe le parti, aumentato quel del nemico da quattro
pezzi di artiglieria, nel mentre sostenevansi i nostri sul monte della Pilla assalito dalla colonna nemica di sinistra e parte di quella del centro, si ripiegavano quelli piazzati al Bosco de’
Gervasoni non che gli bersaglieri della compagnia Cassinis stabiliti sul monte del cimitero detto de’ Rocoli per essere sopraffatti dal numero de’ nemici, il che osservando mandai da quella parte
alcune riserve tenute in Calmasino ed altre tolte dal monte Pilla a diligenza dell’aiutante maggiore in 2° Lanfranco, ma che non bastarono per respingere il nemico protetto da un cannone sul
monte de’ Gervasoni, fu mestieri dei nostri di penetrare in alcune case per bersagliare il nemico dalle finestre, portatomi sollecitamente in quel frattempo sotto Calmasino ove stanziavano in
riserva tre compagnie disposte a scaglioni e nascoste, mi avvidi che parte della colonna nemica girando attorno del monte de’ Rocoli di cui si era impadronito, sopraggiungeva sulla strada sotto
Calmasino per intercettare la nostra comunicazione ed avvilupparci; sollecitamente ordinai alle compagnie Jovene e Moris d’inoltrarsi avanti, il che fatto in un attimo, ricevettero il nemico con
intrepidezza e vivo fuoco di moschetteria ponendolo ben presto in fuga, ordinai quindi al Capitano Jovene di salire da quella parte per riprendere il monte de’ Rocoli occupato dal nemico che
ridisperse e scacciò immantinente con qualche perdita, e continuando con vivo fuoco non poco contribuì a secondare il movimento delle riserve spedite dal villaggio di Calmasino nella direzione
del monte Rocoli e monte del Bosco Gervasoni che stentavano a respingere il nemico, e spinte infine con sommo coraggio ed ardore al passo di carica pervennero a smuovere il nemico dal monte de’
Gervasoni coadiuvate da un pezzo d’artiglieria che opportunamente sopraggiunse in quell’istante ed infiammò i nostri. Lo sparo di esso ben diverso da quelli del nemico fu rimarcato da questi e
dai nostri, gettò il terrore nei primi e raddoppiò il coraggio dei secondi, da quell’istante, e già respinto su tutti i punti, il nemico prese la fuga verso Cavajon inseguiti da buon numero de’
nostri e dalla compagnia Cassinis, battuto dal solo cannone che avevamo, ben diretto dal sergente Botta della I° batteria di battaglia. Visto così in fuga il nemico mi portai rapidamente dalla
parte del lago ed incontrata presso la strada la compagnia Moris che già aveva disperso il nemico da quella parte come abbiamo divisato, gli ordinai di disporsi di bersaglieri fronte al lago e di
avviarsi da queste alture sulla strada di Lazise e Bardolino per prendere di fianco il nemico che respingeva i nostri nel verso di Lazise, quel movimento eseguito con prontezza, con somma
opportunità ed intelligenza, sorprese il nemico e lo decise ad una pronta e precipitata ritirata da cui approfittarono i nostri per inseguirli vivamente e cagionar loro gravi perdite. Tale si è
la relazione e le disposizioni data in questa fazione di Calmasino assai gloriosa per le armi di S.M. ed altrettanto onorevole pel 3° reggimento di questa brigata, il quale solo (tranne la
compagnia Cassinis e volontari pavesi entrambi di 180 uomini) combatterono dall’una pomeridiana sino alle sei di sera contro forze assai superiori, essendo valutato il nemico non minore di
cinquemila oltre quattro pezzi di artiglieria e due cavalletti per slanciare razzi alla Congrève (lunga asta bilanciatrice con scarsa precisione nel tiro), di cui era fornito e fece uso continuo
contro i nostri, mentre non avevamo, per male intesa inavvertita o fatale combinazione, che un solo cannone giunto tardi benché opportunamente. Considerevole è la perdita fatta al nemico di oltre
i duecento fra cui da 60 a 70 morti, un ufficiale superiore e cinque altri...”.