La sconosciuta tragedia di quegli italiani nati oltre la frontiera e che dovettero servire nell'esercito austro ungarico.
- Sabato 25 Settembre 2010 - ore 20.30 - Sala Civica di Calmasino
- Serata Culturale sulla Grande Guerra con Luciana Rosà
- Dal libro "Ho lasciato il mio cuore a Kol Jozefin" di Luciana Rosà
Bastava essere nati al di là di un torrente o di una strada per essere sudditi dell’Impero Asburgico e dover essere nemici di conoscenti, amici, parenti che parlavano la stessa lingua e lavoravano la stessa terra.
E così finirono nelle trincee orientali per difendere le ambizioni e l’orgoglio degli Asburgo, mentre le loro famiglie furono deportate nelle terre più remote dell’Impero perché possibili spie a favore degli Italiani.
Ciononostante fecero sempre il loro dovere...
Alcuni dati:
• Trentini arruolati nell’esercito austriaco: 60.000
• Trentini rifugiatisi in Italia: 700
• Civili evacuati dal Trentino: 75.000
• Sospetti internati a Katzenau: 1.700
Molti sudditi, per la loro attività a favore della causa dell’irredentismo, furono internati nel campo di Katzenau a nord di Linz (Austria). Queste persone risultavano in buona parte già da tempo schedati dalla polizia austriaca come P.U. (Politisch Unverlasslich) cioè politicamente inaffidabili. Si trattava di trentini appartenenti a tutte le classi sociali, con una buona presenza di intellettuali (professori, studenti, liberi professionisti, funzionari, sacerdoti, commercianti...).
Fino a qualche tempo prima, nelle baracche di Katzenau erano stati alloggiati prigionieri russi, in gran parte falciati dal tifo. I deportati ne erano perfettamente a conoscenza, ed ebbero quindi il sospetto che le autorità di polizia confidassero proprio in quella fortuita combinazione di malattia, sporcizia e denutrizione per liberarsi dei loro sudditi meno fedeli.
L'evento è stato organizzato per la prima volta, con successo, il 9 aprile scorso, dal Gruppo Alpini di Lugagnano. Di seguito ne viene riportata la Cronaca, a cura di MARIO NICOLI:
Il Gruppo Alpini di Lugagnano si è distinto in questi anni nell’impegno a organizzare serate culturali. L’argomento dominante è quasi sempre stato il secondo conflitto mondiale, che mise a dura prova il coraggio e lo spirito di sacrificio delle nostre penne nere, alcune delle, quali ancora viventi e testimoni di quelle sofferenze. Il 9 aprile scorso, tuttavia, è stato preparato dagli alpini, nella baita dl via Caduti del Lavoro, un incontro su un tema storico diverso, la prima guerra mondiale, e in modo davvero originale.
Il titolo della serata “La guerra vista dall’altro fronte”, faceva già capire che non si sarebbe parlato di trincee italiane, ma di come vissero quel periodo gli abitanti della provincia dl Trento, all'epoca ancora sudditi dell’impero austro-ungarico. Un argomento a lungo trascurato dalla storiografia ufficiale, ma che oggi sta riemergendo grazie a libri come “Ho lasciato il mio cuore a Kol Jozefin”, che la scrittrice Luciana Rosà ha presentato quella sera.
L’autrice trentina ha raccontato, nella sala gremita da un pubblico attento, la drammatica odissea di quel popolo, avvalendosi anche di immagini d’epoca proiettate su uno schermo, Nel maggio 1915 tutto le comunità trentine residenti lungo la linea del fronte ricevettero l’ordino di immediata evacuazione. Quelle genti furono costrette in quattro e quattr’otto a caricare le proprie poche cose e gli animali, recarsi alla più vicina stazione ferroviaria, e partire per luoghi d’accoglienza dislocati in lontani angoli dell’impero. Molti salivano su un treno per io prima volta, e non avevano mal visto terre diverse dalla loro. Pensavano che sarebbero tornati presto, invece la loro diaspora durò tre anni e mezzo, finché durarono le ostilità sui fronti europei. Il motivo ufficiale di quell’esodo fu la protezione della popolazione civile da eventuali attacchi del nemico; in realtà il governo austriaco guardava con diffidenza la gente trentina, e temeva che complottasse in segreto con gli italiani. Una moltitudine di 75000 persone (per lo più donne, vecchi e bambini, essendo i giovani adulti chiamati alle armi) furono così sradicati dai loro paesi, e condotti in campi di concentramento civili situati nell’Europa centrale, Boemia e Moravia, in condizioni igieniche e alimentari difficili.
Per la stessa sospettosità, i 60000 trentini arruolati nell’esercito furono inviati lontano, sul fronte orientale, per evitare contatti con gli italiani. Molti dl loro morirono o risultarono dispersi o furono feriti. Alla fine della guerra li avrebbe attesi la beffa: il nostro governo li considerò ex nemici, e pertanto li disprezzò e li considerò indegni di ricevere benefici spettanti ai reduci e ai mutilati.
Alla fine grandi applausi per la scrittrice Luciana Rosà che, citando anche ricordi appartenenti alla sua famiglia, ha fatto luce su uno degli aspetti meno conosciuti della Grande Guerra.